INTERVENTO DEL PROF. BERNARD AUCOUTURIER
Traduzione a cura della Dottoressa Emanuela De Rocco
Trascrizione a cura della Dottoressa Stefania Pagnoni
“Prima di iniziare vorrei ringraziare il Dott. Carmelo Scarcella e la Dott.ssa Anna Maria Indelicato che ha fatto la mia presentazione e ringrazio anche tutte le persone che hanno organizzato questa conferenza sulla salute del bambino e dell’adulto.
Inizierò ricordando che lo psicomotricista deve avere delle conoscenze sulle grandi funzioni corporee, sulla loro regolazione e sulla loro mancanza di regolazione; deve conoscere i differenti sintomi corporei e le differenti sindromi corporee e i sintomi di queste sindromi sia nel bambino che nell’adulto e questo mi sembra sufficiente, sapendo che l’intervento dello psicomotricista non si situa in ambito somatico ma piuttosto in ambito psicologico. In effetti lo psicomotricista è uno specialista delle manifestazioni corporee originate da scenari psichici inconsci, della storia lontana relazionale, dell’immaginario corporeo del bambino, ed è per questo motivo che si è imposta la psicomotricità a partire dalla constatazione che i disturbi corporei della motricità potevano non rispondere a delle lesioni neurologiche ma che erano piuttosto l’espressione di disturbi psicologici, affettivi ed emozionali. È a questo livello che si trova la psicomotricità, tra il legame psichico inconscio e la motricità…quanti psicomotricisti hanno dimenticato questo concetto. Lo psicomotricista lavora sull’espressività del corpo che rivela l’interiorità psichica inconscia, originaria della persona; deve sapere che sintomi organici devono essere intesi come delle somatizzazioni, la cui origini deriva dall’angoscia, dall’intensità dell’angoscia; deve conoscere i luoghi privilegiati del corpo in cui si manifestano queste somatizzazioni; lo psicomotricista deve capire che i disturbi dell’espressività motoria sono delle somatizzazioni. Ecco la cosa che vi volevo ricordare.
Ed ora vorrei parlarvi della genesi del gioco spontaneo.
Il gioco spontaneo è per essenza un’attività psicomotoria perché questa è l’amalgama di sensazioni, di tonicità, di motricità, di emozioni, di affetti di piacere e di fantasmi arcaici che vengono dal corpo, originatisi dunque nella relazione corpo a corpo con l’oggetto materno. È di questo che vorrei parlarvi rapidamente sulla genesi del gioco spontaneo .
Quando il bambino riceve delle cure deve esserci una corrispondenza tra ciò che viene agito su di lui e ciò che egli è capace di agire sul genitore; si tratta di aggiustamenti corporei e ritmici molto delicati messi in atto dai genitori, affinché il bambino cooperi alle cure che riceve. Mi sentirete parlare del genitore e anche dell’oggetto materno, mi riferisco a qualsiasi persona che si possa occupare in maniere positiva del bambino piccolo. Quando c’è questa corrispondenza d’azione tra l’uno e l’altro si tratta di un’interazione precoce, che permette al bambino di trasformarsi a livello sensoriale, a livello tonico, a livello posturale, a livello ritmico ed emozionale e simultaneamente anche il genitore si trasforma a livello corporeo e a livello psichico. Quando il bambino manifesta il suo bisogno di essere nutrito, quando tutto il suo corpo è in tensione, gesticola, grida il suo bisogno, anche il genitore è in tensione e si precipita per soddisfare il bisogno del suo bambino; il bambino poi vieni nutrito ed entrambi si trasformano e queste trasformazioni reciproche danno molto piacere al bambino e al genitore. In effetti la diminuzione delle tensioni dell’uno e dell’altro libera l’ossitocina, libera delle endorfine cerebrali, come la serotonina, che sono dei neurotrasmettitori od anche la dopamina che è prodotta dall’ipotalamo ed è l’ormone cerebrale del piacere, che riguarda l’auto-soddisfazione, inibisce le tensioni del corpo, genera la curiosità e la creatività e dà piacere di vivere al bambino. Queste sequenze di interazioni, quando il bambino viene nutrito o riceve delle cure, quando viene preso in braccio e mobilizzato nelle spazio, queste interazioni precoci vengono engrammate nel cervello in un insieme neurobiologico secondo dei processi biochimici, elettrici, ormonali e grazie principalmente alle endorfine cerebrali. Tutto ciò che il bambino vive in una relazione con l’altro nella quale si trasforma, tutto questo viene engrammato.
Queste sensazioni di relazioni precoci che vengono engrammate nel cervello formano un amalgama di piacere di azione del bambino e di piacere di azione del genitore. Questi engrammi sono all’origine di una memoria biologica esperienziale di piacere d’azione durevole che i neuropsicologi chiamano memoria implicita, che si situa nel lobo frontale dell’ippocalamo. Si tratta di una memoria neurobiologica dove vengono amalgamanti i piacere dell’interazione del piccolo e del genitore. Questi engrammi, questa memoria biologica, non sono né dei ricordi né delle rappresentazioni mentali, ma diventeranno poi delle rappresentazioni mentali.
Ma il bambino piccolo in alcuni momenti vive delle esperienze dolorose inevitabili, che sono dovute all’insoddisfazione dei suoi bisogni di essere nutrito e idratato, a dei momenti dolorosi durante le cure, a dei contatti, dei movimenti agiti su di lui; il bambino in queste situazioni vive nel suo corpo un certo grado di tensioni dolorose, che vengono anche registrate nel cervello, e queste tensioni dolorose costituiscono l’angoscia tensione. Queste tensioni dolorose creano un blocco neurobiologico responsabile di ormoni cerebrali nocivi, che limitano la produzione di endorfina e quindi di piacere.
Il bambino non può sopportare questo vissuto doloroso e quindi cercherà di fuggire dall’angoscia tensione e dal dolore che vi è associato. Questo grado di angoscia tensione è all’origine di tutte le speranze; in effetti l’angoscia tensione è creatrice di una dinamica di ricerca di soluzioni alle tensioni corporee, l ‘angoscia fa nascere un desiderio di piacere, una caccia al piacere. Allora il bambino sollecita la sua memoria implicita, dove sono registrati il piacere delle azioni del bambino così come il piacere delle azioni del genitore. Allora il bambino desidera, sogna, inventa,illusiona questa realtà interiore neurobiologica di piacere, la memoria implicita, per affievolire, calmare queste tensioni dolorose.
Questa ricerca del piacere per attenuare l’angoscia tensione è all’origine di una prima organizzazione psichica nel bambino, un’organizzazione psichica inconscia che alcuni psicanalisti chiamano l’originario. Si tratta di un illusione di piacere, che si chiama fantasma d’azione e che è desiderio di piacere. Allora si può dire che l’angoscia fonda l’umano. Il fantasma d’azione sarebbe un’esperienza fatta di soggettività e d’irrealtà, di illusione che riporterebbe alle origini della vita e che non sarà mai rimessa in causa per tutta la vita. Bisogna ricordare che i fantasmi d’azione nascono dal corpo a carpo tra bambino e genitore e quindi hanno a che vedere con la nutrizione, le cure, i contatti, il toccarsi, l’essere trasportati, i movimento nello spazio, i movimenti ritmici, ma anche con la voce, le forme, i colori, gli odori e i sapori; quindi il bambino in questo modo si crea dei fantasmi, come i fantasmi di incorporare per esempio, di divorare, di distruggere, di dominare, di toccare, di portare, di avvolgersi, di manipolare, di prendere, di dondolarsi, di rotolare, di andare in alto o di cadere, di fare dei ritmi, delle vocalizzazioni, di sentire, di provare il gusto, di vedere. Il fantasma d’azione testimonia un’intensa e precoce attività psichica inconscia, è la primissima attività creatrice psichica del bambino e quindi il bambino è creatore del proprio psichismo.
I fantasmi d’azione si sviluppano a partire dal momento in cui il bambino esce dall’indifferenziazione per andare verso la differenziazione nel rapporto con il genitore, più o meno verso il 6° mese. Questi fantasmi presentano un carattere pulsionale, sadico, persecutore, onnipotente e così devono essere progressivamente contenuti in un ambiente affettivo costante, coerente e calmante, ed è questo il ruolo dei genitori, e soprattutto devono essere contenuti dalla realtà del corpo del genitore e anche dal linguaggio del genitore. E’ solo attraverso la via non verbale dell’espressività motoria, attraverso il piacere del gioco spontaneo che il bambino manifesterà questa fonte originaria psichica di azione e allora possiamo dire che quando il bambino gioca è giocato dai suoi fantasmi d’azione, è giocato dal suo originario.
Qualche parola sull’adulto. Nell’adulto questi fantasmi d’azione si esprimeranno attraverso la creazione artistica; questa fonte d’azione dà un posto fondamentale alla creazione artica, questa è all’origine di un piacere pulsionale senza limiti di spazio o di tempo, dove il movimento, il ritmo, la voce e tutti i materiali della creazione danno delle soddisfazioni sensuali , all’origine di un godimento senza fine, che calma l’angoscia e rivela ciò che c’è di più profondo nella storia dell’essere umano. In ogni creazione d’opera, in ogni creazione plastica, musicale, corporea, non c’è forse una spinta per lasciare una traccia motoria, di colore, di suono, di voce, di forma, di movimento, associati a dei fantasmi d’onnipotenza, di incorporazione, di divorazione, di dominazione sadica, un’aggressione sulla materia e sullo spazio in un tempo senza limiti?
Ricordo che il gioco spontaneo è un attività psicomotoria perché è un amalgama di sensazioni, di tonicità, di motricità, di emozioni, di affetti di piacere e di fantasmi arcaici originati dalla relazione corpo a corpo con l’oggetto materno. Ma perché il bambino gioca spontaneamente? Senza entrare troppo nel dettaglio mi permetto di fare un breve riassunto del perché il bambino gioca spontaneamente. Giocare corrisponde ad un periodo dello sviluppo psicologico del bambino che noi dobbiamo assolutamente rispettare.
Il gioco favorisce la crescita cerebrale e giocare è sempre il mezzo per il bambino per esprimere qualcosa dell’infanzia: si tratta di una rappresentazione di sé, di una rappresentazione della propria storia. Giocare è un fattore essenziale di rassicurazione di fronte alle angosce, il piacere che il bambino prende nel giocare attenua le tensioni del corpo. Giocare rende il bambino disponibile ad apprendere ed infine giocare è comunicare, cooperare e facilita la comunicazione.
Il gioco spontaneo apre la via al meraviglioso, all’illusione per sfuggire alle fatiche della vita reale . Più che mai all’età degli apprendimenti scolatici il bambino ha bisogno di sognare, di mantenere una sua vita fantasmatica che appartiene solo a lui e che gli dà morbidezza, leggerezza di spirito e creatività. Tutti i giochi del bambino sono dei processi di rassicurazione di fronte all’angoscia, sono giochi di rassicurazione che si sviluppano fin dal primo anno di vita, come i giochi di rassicurazione profonda, giochi che lo aiutano ad attenuare le sue tensioni corporee, che si originano dalla sua delicata relazione con l’oggetto materno. A partire da questa rassicurazione iniziale, che sono i giochi di rassicurazione profonda, il bambino svilupperà poi dei giochi di identificazione: saranno giochi in cui ci saranno degli eroi onnipotenti preferiti dai bambini e dove ci saranno anche le figure dei genitori con le quali potersi identificare.
Il gioco spontaneo è un aiuto allo sviluppo del bambino, ma deve essere inquadrato perché perdura sempre come un gioco pulsionale; deve essere quindi inquadrato attraverso degli obbiettivi, attraverso un dispositivo spaziale e temporale così come attraverso l’’attitudine dello specialista formato alla pratica psicomotoria.
Vi parlerò ora della pratica psicomotoria educativa che si basa sul gioco spontaneo ma inquadrato.
Durante le sedute noi proponiamo un itinerario di maturazione psicologica che va dal piacere di agire al piacere di pensare fino ad arrivare al piacere di pensare l’agire.
In effetti il dispositivo spaziale e temporale che ho creato, la sala di pratica psicomotoria, si divide in due luoghi ben distinti: un primo luogo è il luogo dell’espressività motoria, con il suo materiale per il gioco spontaneo, per vivere il piacere senso motorio, per vivere il piacere dei giochi di rassicurazione profonda, giochi che appartengono i bambini con meno di tre anni, e poi progressivamente giochi di identificazione; questo è il primo luogo per il gioco spontaneo.
C’è poi un secondo luogo, quello dell’espressività plastica, grafica e del linguaggio, con il suo materiale per costruire, per disegnare liberamente e per parlare. Durante la seduta, i bambini verranno invitati a passare dal primo al secondo luogo. Questo passaggio favorisce il tragitto che va dal corpo al linguaggio.
La pratica psicomotoria si sviluppa anche a partite da alcuni obbiettivi che si intersecano gli uni con gli altri.
Il primo obiettivo è aiutare i bambini a sviluppare le loro capacità di simbolizzazione; in effetti giocare è sempre simbolizzare qualcosa della rappresentazione di sé, della rappresentazione dell’infanzia, è sempre qualcosa che appartiene ad una storia vissuta in relazione con l’oggetto materno.
Il secondo obiettivo è aiutare il bambino nelle sue capacità di rassicurazione; in effetti giocare è vivere il piacere di attenuare l’angoscia inevitabile che ha origine nella relazione con l’oggetto materno.
Il terzo obiettivo è aiutare il bambino nello sviluppo del decentramento tonico emozionale. Il percorso che il bambino farà fino al linguaggio permette l’acquisizione progressiva di un altro sguardo, della capacità di mettere parole sulle proprie emozioni e gli permette allora di accedere ad un altro sguardo sul mondo, uno sguardo decentrato dalla propria soggettività; è l’apertura al pensiero operatorio.
Aggiungiamo a questi due luoghi ed a questi due tempi un terzo tempo, quello della rassicurazione attraverso la via del linguaggio. Si tratta del racconto di una storia molto breve, anche di un solo episodio di una storia, che stimola delle forti emozioni nel bambino: la paura di essere abbandonato, inseguito, aggredito. È una storia a cui i bambini partecipano apportando spontaneamente il loro processo di rassicurazione. Si tratta di un gioco drammatico di rassicurazione attraverso il linguaggio, che rinforzerà il processo di rassicurazione che avviene attraverso il gioco spontaneo. L’insieme della seduta è inquadrato da un rituale d’ingresso, durante il quale hai bambini viene sempre ricordata la regola principale di non farsi male: qui non ci si fa male qui si gioca; poi c’è un rituale finale dopo il disegno e le costruzioni.
Vi ho parlato dell’insieme della pratica psicomotoria che a Brescia questa pratica è svolta con molta competenza e serietà dal Centro di formazione GLOBO.
Ho parlato fino ad ora di un grado d’angoscia. A partire a questa grado d’ angoscia i bambini troveranno un processo di rassicurazione attraverso il gioco spontaneo, ma in alcuni bambini c’è un grado di angoscia molto intenso a causa di condizioni di vita sfavorevoli o addirittura traumatiche che limitano o annientano il desiderio di simbolizzare, il desiderio di rassicurarsi e di sviluppare delle capacità di decentramento tonico-emozionale. Molti bambini al giorno d’oggi faticano a decentrarsi a livello tonico-emozionale e questa cosa limita chiaramente la loro capacità di aprirsi al pensiero operatorio. Siamo qui in presenza di angosce difficilmente assumibili da parte del bambino o addirittura non assumibili; il bambino resta allora nell’eccitazione motoria, nell’instabilità, nell’aggressione o nell’inibizione motoria e psichica; simbolizzazioni immature, fragilità emozionale, il tutto su un fondo depressivo, ne saranno i principali sintomi. Questa sintomatologia si situa a livello di un grave deficit di interazioni precoci e di una dinamica di piacere le cui conseguenze possono essere catastrofiche per lo sviluppo del bambino e soprattutto per l’acquisizione delle attività scolastiche.
L’intensità delle angosce che chiamiamo arcaiche limita gravemente il legame tra il somatico e lo psichico. Cosa vuol dire questa cosa? Il somatico è la memoria implicita, è la memoria neurobiologica. E l’intensità dell’angoscia limiterà la capacità del bambino di sognare, di avere delle illusioni, di fantasmatizzare e quindi di crearsi le sue prime costruzioni psichiche inconsce; in questi bambini il legame somato-psichico è deficitario se non addirittura assente. Che cosa funziona allora? Il corpo, il corpo come agitazione, il corpo aggressione, l’instabilità motoria e psichica, tutte queste cose vanno insieme. Ed è a questo livello che si situa la disponibilità dello psicomotricista che deve aiutare il bambino a ricreare questo legame somato-psichico.
Più di ogni altra cosa l’attitudine dello psicomotricista è determinante nell’aiuto che viene dato al bambino; raramente si parla di questa attitudine e ancora meno si parla di una formazione personale dell’operatore, cosa che a me dispiace molto. In effetti lo psicomotricista deve essere all’ascolto del bambino, della sua espressività motoria, dei simboli che il bambino esprime attraverso il gioco e soprattutto deve essere all’ascolto delle emozioni del bambino grazie alla sua empatia tonico-emozionale.
L’empatia è in un certo senso la capacità di uscire da sé, la capacità di decentrarsi verso l’altro, è l’espressione di una maniera di essere, di una maniera di ricevere l’altro, di accettare ciò che il bambino crea e percepire le armoniche emozionali del bambino, della sua esperienza sempre unica. L’ empatia emozionale non è non va assolutamente confusa con la simpatia; certo anche la simpatia appartiene alla dimensione emozionale, ma è una vibrazione, è un armonia con l’altro dove due vissuti interferiscono, il che è pericolo perché si crea una sorta di fusionalità che non permette di creare quella distanza che è fondamentale nell’aiuto al bambino. Anzitutto l’operatore non deve avere paura della pulsionalità motoria del bambino che è sempre presente nel gioco (sto parlando della pratica psicomotoria educativa). Nel corso della seduta lo psicomotricista è una persona molto viva, che vive il piacere di essere lì con i bambini del gruppo. La sua calma di fronte ai confitti, le sue parole tranquillizzanti, la sua relazione di sostegno, sono tutti aspetti che favoriscono la maturazione del cervello del bambino. Lo psicomotricista è garante della dimensione simbolica per tutta la durata della seduta e quindi sa dire la legge, a condizione che egli stesso sia chiaro con la legge, è garante dell’ordine e della sicurezza. L’ordine è la legge delle cose, la legge dell’esistenza.
Vorrei parlarvi ora dell’attitudine dello psicomotricista nella terapia psicomotoria. Nella terapia psicomotoria ciò che non funziona o funziona poco è il legame somato-psichico e il ruolo dello psicomotricista terapeuta è quello di ricreare questo legame o comunque di fare dei tentativi per ricreare questo legame. Non c’è neutralità emozionale nella pratica psicomotoria terapeutica: l’emozione deve funzionare, le risonanze tonico-emozionali reciproche fra lo psicomotricista e il bambino o il gruppo di bambini devono funzionare, perché le risonanze tonico-emozionali reciproche condivise col bambino sono indispensabili per poter far emergere una storia profonda anche dolorosa che è radicata nel corpo del bambino. Le risonanze tonico-emozionali reciproche dinamizzano la funzione psichica arcaica del bambino così come quella dello psicomotricista. Vivere delle risonanze tonico-emozionali con un bambino, risonanze che fanno sempre riferimento alle risonanze tonico-emozionali che il bambino ha vissuto con l’oggetto materno, attenua l’angoscia, l’intensità dell’angoscia del bambino e libera qualche fantasma; di fantasmi, anche se pochi, ce ne sono sempre, basti pensare semplicemente a quelli che hanno a che vedere con l’oralità. Le risonanze tonico-emozionali reciproche attenuano le tensioni del corpo, l’eccesso di tensioni del corpo e liberano qualche fantasma che si manifesterà attraverso la via non verbale: il bambino ad esempio porterà degli oggetti alla bocca, o assumerà posture da neonato al suolo, o si avvolgerà in un telo. Tutto ciò che il bambino ha vissuto con l’oggetto materno riappare a partire dal momento in cui l’intensità delle angosce del corpo si attenua; ma ciò può accadere solo nel momento in cui il bambino o il gruppo di bambini con lo psicomotricista vivono delle risonanze tonico-emozionali reciproche. Quindi anche lo psicomotricista vive delle risonanze tonico-emozionali reciproche che stimolano la sua storia d’infanzia. Allora lo psicomotricista dovrà assumere dei ruoli: può assumere il ruolo di un bambino piccolo o il ruolo di un aggressore che divora e simbolizza questi ruoli ed il bambino si potrà identificare con questi ruoli che vengono rappresentati dallo psicomotricista. In questo modo il bambino può fare il legame tra il somatico e lo psichico e questo è l’obiettivo principale della terapia psicomotoria.
A mio avviso la terapia psicomotoria è una psicoterapia, è un altro versante rispetto ad altre psicoterapie che si fondano su altri mezzi di simbolizzazione, come ad esempio sul linguaggio; si tratta di un’altra dimensione psicoterapeutica che tocca profondamente la storia di sofferenza del bambino e che può rivolgersi a tutti i bambini.
Facciamo bene la distinzione tra la pratica psicomotoria educativa e preventiva che si rivolge principalmente ai bambini dell’asilo nido e ai bambini della scuola dell’infanzia; questa ha un’azione preventiva perché attenua i dolori e le angosce superabili, angosce universali che tutti abbiamo vissuto. Questa angoscia è sempre in noi, è inscritta e tutte le nostra attività ludiche, professionali, caritatevoli, religiose, anche professionali, non sono che dei momenti, degli istanti per attenuare la nostra angoscia. Perché scegliamo questo mestiere?
Quindi bisogna distinguere la pratica educativa e la pratica terapeutica e ciò che cambia è solo un diverso grado di angoscia: la pratica educativa si rivolge al bambino che vive un’angoscia assumibile e la pratica terapeutica al bambino che non può assumere questa angoscia perché è troppo intensa.
Domanda: Lei ha parlato della rassicurazione profonda, di questa angoscia del bambino. Lavorando con le scuole, con gli insegnanti, in questo momento storico dove la moltiplicazione delle situazioni di instabilità motoria dei bambini, di iperattività, di disturbi oppositivi provocatori vengo a contatto molto di più con l’angoscia e il bisogno di rassicurazione profonda degli insegnanti, perché molto spesso non c’è la possibilità di accesso a questa rassicurazione profonda né per gli insegnanti né per i bambini. Credo sarebbe bello che lei ci potesse dire qualcosa su come questa cultura diffusa della rassicurazione profonda può riguardare la vita normale del processo educativo e non la terapia del bambino-problema, perché è questo che crea poi a livello anche sociale situazioni che diventano patologiche e potrebbero non diventare patologiche, ed è una situazione che in questo momento storico riguarda il rapporto tra psiche e corpo. I bambini usano poco il corpo anche con le tecnologie, virtualizzano tanto e mi chiedo quanta dimensione corporea vada oltre l’intervento terapeutico ma riguarda la normalità
Risposta: Prima ho parlato di una relazione che sostiene da parte dello psicomotricista e mi sembra che questa relazione che sostiene valga non solo per lo psicomotricista ma anche per l’insegnante, perché questo tipo di relazione aiuta la crescita del cervello del bambino sviluppa tutte le funzioni cerebrali e principalmente la funzione di apprendimento. Accogliere il bambino, ascoltarlo, accompagnarlo senza che egli viva stress è favorire lo sviluppo cerebrale del bambino. Sappiamo oggi che accogliere le emozioni del bambino favorisce lo sviluppo cerebrale. Purtroppo però l’emozione non è ancora entrata nelle scuole, la sofferenza del bambino non è ancora entrata nelle scuole, ci si limita a constatare che non è disponibile nella relazione con gli altri e che non è disponibile nei confronti degli apprendimenti scolastici, ma non si fa niente per cercare di cogliere dov’è questa sofferenza che è una sofferenza principalmente emozionale. Quando ci sarà una formazione personale per le insegnanti? Per il momento non esiste in nessun luogo, non esiste in Italia, non esiste in Francia e non esiste nemmeno negli altri paesi. Vi sono degli studi interessanti di neuroscienze, che si chiamano neuroscienze affettive e non cognitive, sullo sviluppo del cervello del bambino a partire dalla disponibilità ad accogliere le emozioni del bambino. C’è ancora molto lavoro da fare.
Mi sembra però che le persone che assistono a delle sedute di pratica psicomotoria possono vedere il bambino con un altro sguardo, possono cogliere le emozioni di alcuni bambini e diventano più sensibili ai bambini. È necessario che la scuola dell’infanzia non sia centrata unicamente sugli apprendimenti cognitivi ma soprattutto sul modo di essere del bambino. Chi è questo bambino?
Riprendo quindi il discorso sui giochi di rassicurazione profonda, giochi che si sviluppano nei primi tre anni di vita ma che poi continuano sotto altre forme per tutta la vita. Per attenuare le tensioni, l’angoscia e le paure vissute durante la nutrizione il bambino mette in atto dei fantasmi d’azione perché il fantasma d’azione è fondamentalmente legato al piacere. Allora il bambino inizierà a giocare il piacere di incorporare, di mordere, di divorare, di distruggere con la bocca, inizierà anche giochi di onnipotenza come il gioco del lupo, del coccodrillo, dell’orco, della strega; tutti questi giochi di identificazione a dei personaggi, a degli animali fanno sempre riferimento a dei fantasmi d’azione. Per attenuare le tensioni, l’angoscia, le paure vissute durante le cure il bambino mette in atto dei fantasmi d’azione e gioca il piacere di toccare, di avvolgersi, di manipolare, di prendere. Tutte queste attività sono animate da fantasmi d’azione ed è per questo che il bambino non si può fermare, perché fondamentalmente queste azioni sono legate al piacere. Allo stesso modo di fronte alle tensioni legate alle manipolazioni eccessive nello spazio da parte dell’oggetto materno il bambino metterà in atto dei fantasmi d’azione e gioca il piacere di dondolarsi, di rotolare, di cadere, di saltare in profondità, di arrampicarsi, di produrre dei ritmi…è la messa in atto dei fantasmi d’azione. Ricordo che i fantasmi d’azione nascono nel corpo a corpo con l’oggetto materno, vengono registrati, vengono engrammati e formano una memoria neurobiologica che un tempo veniva chiamata memoria corporea. Il bambino attingerà a questa memoria e si creerà dei fantasmi d’azione, fantasmi che metterà in atto attraverso delle attività non verbali. Quindi il non verbale rivela sempre ciò che appartiene alla storia del bambino, ciò che appartiene alla storia condivisa con l’altro, una storia arcaica condivisa con l’altro. E così di fronte alle tensioni, alle angosce e alle paure vssute legate alla voce, allo sguardo insistente, ai colori eccessivi, alle forme e agli odori il bambino metterà in atto dei fantasmi d’azione e giocherà il piacere della voce, dei vocalizzazioni, il piacere dello sguardo, privilegerà alcune forme, alcuni colori, alcuni odori e alcuni sapori e questo succede anche agli adulti.
I giochi di rassicurazione profonda sono dei giochi spontanei universali che si sviluppano nei primi anni di vita, sono giochi che rassicurano intensamente il bambino e sono poi all’origine dei giochi di identificazione. L’azione giocata con piacere è la più pura, la più bella, la più generosa invenzione dell’uomo, il gioco è un arte libera per allontanare tutto ciò che viene imposto duramente al bambino e a noi stessi. Anzitutto il gioco deve essere un attività gratuita al servizio del piacere del bambino. Educatori, genitori, i bambini hanno un tesoro in loro, non rovinateli cercando di insegnare loro troppe cose, lasciateli sognare e creare il loro mondo, lasciateli esprimere, lasciateli vivere ed amare la vita giocando.
Altre domande ?
Domanda: cosa pensa dei bambini con diagnosi di spettro autistico?
Risposta: Quando c’è una carenza, una deficienza del legame somatopsichico c‘è sempre una carenze a livello relazionale, c’è sempre un deficit nella relazione con il mondo degli altri e con il mondo dello spazio. Non si può a mio parere separare le cose, il problema della relazione con gli altri sintomi. Al giorno d’oggi molti i bambini che non funzionano ricevono una diagnosi di spettro autistico, ma si può passare dall’autismo profondo violento, bambini che non parlano, a bambini con la sindrome di Asperger che fanno una vita più o meno normale. Io non separo questa mancanza di legame sociale dagli altri sintomi di cui ho parlato in precedenza è un tutto secondo me.
Ho cercato di spiegarvi come concepisco la pratica psicomotoria educativa e la pratica psicomotoria terapeutica, il loro legame, che a mio parere è dovuto ad un diverso livello di angoscia obbiettivo della pratica educativa ma anche obbiettivo della terapia ricreare il legame, e questo lo si può fare solo attraverso il coinvolgimento dello psicomotricista terapeuta. Voi mi direte che lo psicomotricista tocca ciò che appartiene all’arcaico è forse necessario che faccia una psicanalisi, una psicoterapia? Se è una sua scelta sì, ma c’è anche la formazione personale che noi sviluppiamo nella formazione in pratica psicomotoria, che è già una maniera eccellente per prendere consapevolezza delle proprie resistenze tonico-emozionali, per vivere una dimensione arcaica, attraverso delle situazioni di gioco e poter prenderne coscienza, poterle analizzare e comprendere quali fanno riferimento a lui, alla persona dello psicomotricista; questo è già un buon modo per fare un po’ di strada su di sé, certo per alcune persone non sarà sufficiente, ci saranno altri mezzi attraverso la via verbale, non lo escludo. Ma secondo me non si fa una psicoterapia per potersi formarsi ad una professione, si fa una psicoterapia per sé.
Domanda: Lei Professore ci ha evidenziato l’importanza del gioco, ma stiamo entrando in un mondo dove la tecnologia riguarda già i bambini a due, tre anni; quando ci sediamo a tavola per fargli fare silenzio gli diamo tablet, telefonino… lei come vede tutto questo?
Risposta: Assolutamente nessuno schermo prima dei 3 anni! Tutti gli scienziati, tutti i neuropsichiatri, gli psicologi lo dicono: vietati gli schermi prima dei tre anni. Deve essere uno schermo che viene condiviso con i genitori o con gli educatori, non da soli, potrà essere usato alla scuola primaria ma con molta precauzione. Ma ciò che manca a scuola, ovunque, è l’informazione su questi strumenti. Bisogna informare i bambini su ciò che possono vedere sugli schermi, sui tablet, bisogna informare sulla manipolazione che esiste attraverso gli schermi e questo è un ruolo della scuola, ma questa cosa non è ancora entrata nella scuola .
Lo schermo può essere utilizzato a scuola per fare delle ricerche ma è solo la scuola che può dare i temi della ricerca, in forma individuale ma soprattutto in gruppo. Non sono i genitori che possono dare questi temi di ricerca, è la scuola. Allora lo schermo può diventare un mezzo per aiutare i bambini a progredire nelle loro conoscenze ma è solo un mezzo.
Esiste quella che si chiama pedagogia della collaborazione e secondo me questa collaborazione non è sviluppata abbastanza a scuola. Ogni conoscenza può essere acquisita solo in uno scambio con l’altro, perché lavorare con l’altro, cercare con l’altro, sbagliarsi insieme è dare muscoli all’intelligenza, rafforzare l’intelligenza, è dare tono all’intelligenza del bambino. Credo che la pedagogia del gruppo non sia abbastanza sviluppata, chiaramente io parlo della Francia non conosco bene la situazione dell’Italia.
Quindi molta precauzione con gli schermi. I genitori magari sono molto orgogliosi perché dicono “Guardate! il mio bambini a 3 anni sa già utilizzare il tablet!”; lo considerano più intelligente, quando in realtà il tablet non rende intelligenti, anzi in questo modo il bambino non ha più bisogno di pensare, perché là c’è tutto a sua disposizione, non ha bisogno di cercare. Per questo secondo me lo schermo deve essere solo uno strumento per fare ricerca, solo o in gruppo per condividere le conoscenze. E quindi noi andremo verso bambini che non hanno più un corpo perché vivranno nell’immagine e questo è molto grave. Credo che su questa cosa siamo tutti d’accordo.
Quando i bambini giocano insieme condividono delle emozioni, condividono uno stesso percorso, le stesse rappresentazioni inconsce ed è questo che favorisce la relazione con gli altri bambini, anche se in alcuni momenti ci possono essere delle difficoltà di relazione con gli altri bambini, comunque condividono nello stesso momento le stesse rappresentazioni e questo è un percorso di socializzazione. La socializzazione non è una cosa che si insegna, che si impara, è una cosa che si vive a partire dal momento in cui si gioca insieme o si fa ricerca insieme, l’avete osservata questa cosa.
Osservate la qualità delle relazioni che acquisiscono i bambini in una pratica di gioco libero! A volte i genitori mi fanno delle osservazioni e mi dicono: è bella la sua pratica però il mio bambino quando si trova con altri bambini nel prato o sulla spiaggia gioca comunque con altri bambini. Io rispondo loro: “si certo, continuate, è molto buona questa cosa e soprattutto è molto buono che voi giochiate con i vostri bambini ma questa non è la pratica psicomotoria”. Perché la pratica psicomotoria è inquadrata, si sviluppa all’interno di un quadro che è dato dallo spazio, dal tempo, da degli obiettivi e dall’attitudine della persona che è in relazione con il gruppo di bambini. Apprezzo tantissimo tutto ciò che riguarda il gioco spontaneo nella natura anche in acqua. Avete mai visto sulla spiaggia il papà che si lascia sotterrare nella sabbia dal proprio bambino, la mamma che fa delle formine, dei castelli di sabbia con il suo bambino, senza volergli insegnare nulla, ma solo per il piacere di giocare? Questo è formidabile ed il bambino è molto fortunato a vivere queste esperienze.
Spero di avervi spiegato abbastanza chiaramente la pratica psicomotoria nel suo aspetto educativo e terapeutico.
Sapete bene che a Brescia c’è un Centro di Pratica Psicomotoria Aucouturier il “Centro Globo”.
Vi ringrazio per avermi accolto, vi ringrazio per avermi ascoltato.
Grazie e arrivederci.”